L’Italia al dente by Gian Carlo Fusco

L’Italia al dente by Gian Carlo Fusco

autore:Gian Carlo Fusco
La lingua: ita
Format: azw3, epub
ISBN: 9788838918063
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2002-10-24T22:00:00+00:00


Matriciana con l’eco per donna Nadia

Le truppe agli ordini del generale Guzzoni, Divisione Julia in testa, occuparono l’Albania, senza colpo ferire, il 7 aprile 1939. Due giorni prima di Pasqua. Due giorni dopo Pasqua, invece, erano già in arrivo sul nuovo possedimento gli ingegneri e gli operai delle maggiori imprese edili italiane. Avevano un compito preciso: fare in modo che le principali città albanesi assumessero, al più presto, una certa fisionomia littoria. Mediante edifici progettati nello stile burro di cacao che aveva fatto dell’architetto Marcello Piacentini lo scenografo del regime.

Andava «piacentinizzata» soprattutto la capitale: Tirana. E bisogna dire che le grosse imprese romane e milanesi non tradirono le aspettative del ministro dei Lavori Pubblici di Crollalanza. Per sette mesi, a Tirana, i cantieri lavorarono, anche la domenica, ventiquattr’ore su ventiquattro. Illuminati, di notte, dai potenti riflettori del Genio Fotoelettricisti. Così che, il 28 ottobre, 17° anniversario della marcia su Roma, fra le 10 antemeridiane e le 18, il Luogotenente di Vittorio Emanuele III Franco Giacomoni e Donna Nadia, sua avvenente consorte, poterono inaugurare alcuni importanti edifici. La loro centralissima, superba residenza: dove potevano, finalmente, trasferirsi dalla reggia del detronizzato monarca Ahmed Zog. Nella quale avevano alloggiato, fino a quel momento, in un ambiente che (a detta del Luogotenente) «li faceva sentire turchi e maomettani». Il palazzo del Comando Generale Truppe d’Albania, la Casa del Fascio, la sede del Dopolavoro e quella del quotidiano «Tomori». Vecchio giornale schipetaro del quale, a partire dall’indomani dell’inaugurazione, sarebbe uscita anche un’edizione italiana.

La nuova sede del «Tomori» era un edificio a pianta rettangolare, lungo e basso, tutto spigoli, esteticamente imparentato con certe stazioni, ovviamente «piacentiniane», che, nella prima metà degli anni ’30, erano sbocciate sulla nostra rete ferroviaria. Brillante, tuttavia, era stata l’idea di fare del pianterreno una gigantesca vetrina, attraverso la quale i passanti potevano vedere l’intera, modernissima tipografia. Al centro della quale troneggiava la monumentale rotativa a sei gruppi di stampa e quattro piegatrici. Una vetrina alta quattro metri e lunga venticinque, che di notte era incandescente di luce.

Il Luogotenente e la consorte inaugurarono la sede del «Tomori», subito dopo la loro residenza, un po’ prima di mezzogiorno. Lui, sui 45, nell’orbace nuovo fiammante e gallonatissimo, era quella che si dice una bella figura. Lei, più giovane d’una quindicina d’anni, autentica bellezza bruna era avvolta in un petit-gris olezzante di violetta, e aveva in capo un grazioso cappellino rotondo, attraversato da una penna come da una freccia.

Il rito inaugurale, al quale assisteva una discreta folla di cittadini albanesi, si svolse nella tipografia. Nella quale erano schierati i quindici giornalisti giunti dall’Italia qualche giorno prima. Tutti in perfetto orbace, con stivali specchianti, meno uno. Un tipo sui 35, molto alto, asciutto, dai capelli corvini spartiti nel mezzo, nella cui orbita destra luccicava un monocolo incastratissimo. Sotto la giacca grigia, portava soltanto la camicia nera. Ch’era visibilmente di pura seta.

Dopo gli spruzzi d’acqua distribuiti su cose e persone dall’atletico arcivescovo di Bari, giunto in aereo il giorno prima, il direttore del giornale, il cui nome



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